Fake news o altro?

Da un punto di vista giornalistico si sente spesso parlare, talvolta esageratamente, di “fake news”. Ma cosa possiamo definire realmente bufale? Quali “notizie che non lo sono” mettono in discussione la correttezza del flusso quotidiano di informazioni? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
(Importante: chiarisco che queste informazioni sono esemplificative per un pubblico che “mastica” già un pochino di comunicazione, non tanto quella pratica, ma quella relativa agli strumenti con cui vengono veicolati i contenuti: la Rete ma anche i media tradizionali, i cosiddetti mainstream).

Per farlo utilizziamo le distinzioni fatte da Claire Wardle, che riguardano la motivazione dei creatori e del meccanismo di disseminazione di una (per ora limitamoci a chiamarla così), cattiva informazione: satira o parodia, contenuto fuorviante, “imposter content”, contenuto inventato, falsa connessione, falso contesto e contenuto manipolato

Nel rapporto scritto per il Consiglio d’Europa, Wardle e Hossein Derakhstan parlano di disordine dell’informazione e a seconda delle motivazioni di chi lo produce, fanno una distinzione tra:
– mis-information: informazione falsa, condivisa senza intento di causare danno;
– dis-information: informazione falsa, condivisa con l’intento di causare danno;
– mal-information: informazione autentica, condivisa con l’intento di causare danno.

https://checkaos.it/disinformazione/disordine-informativo/

Proseguendo nella disamina possiamo delineare tre elementi chiave: agente, messaggio e interprete che partecipano in tre differenti fasi: creazione, produzione e distribuzione. Dall’insieme di questo processo si arriva al “disordine informativo”. Attenzione perché non è detto che gli agenti debbano essere per forza giornalisti, posssono infatti benissimo essere attori istituzionali o semplici cittadini motivati politicamente, economicamente o socialmente.

“A First Draft sosteniamo l’utilizzo dei termini che sono più appropriati per il tipo di contenuto; che si tratti di propaganda, bugie, cospirazioni, indiscrezioni, bufale, contenuti faziosi, falsità o media manipolati. Preferiamo anche usare i termini ‘disinformation’ (informazione falsa creata con l’obiettivo causare un danno), ‘misinformation’ (informazione falsa diffusa inconsapevolmente) o ‘malinformation’ (informazione che pur essendo vera è diffusa con l’obiettivo di causare un danno). Complessivamente ci riferiamo a tutto questo come ‘caos informativo”.

– Claire Wardle.

La disinformazione ha uno scopo. Non è un caso chesi trovi traccia della parola “dezinformatzija” in russo “дезинформация”, solo sul finire degli anni ’80. Si trattava di un ufficio speciale utilizzato dal KGB (Comitato per la Sicurezza dello Stato)per condurre operazioni tattiche di intelligence. In pratica,i servizi segreti russi avevano capito quanto fosse importante, per manipolare il sistema di intelligence di una nazione, diffondere dati credibili ma del tutto fuorvianti. Fare disinformazione era una tattica di guerra, manipolare i media rappresentava il nuovo avamposto per poter capire e gestire meglio le difese dei nemici. La disinformazione, quindi, ha una natura scientifica, ad esempio, tende a mescolare verità e falsità mettendo in luce solo una parte della verità; la misinformazione è, invece diramata senza uno scopo preciso, non necessariamente per alterare la percezione della realtà. Mentre, la malinformazione è la circolazione di notizie basate su fatti concreti, ma strumentalizzati per recare danno a qualcuno, non ha importanza che siano persone, istituzioni o intere comunità.

Riprendendo ancora gli studi di Wardle e Derakshan possiamo delineare tre elementi chiave: agentemessaggio e interprete che partecipano in tre differenti fasi: creazioneproduzione e distribuzione. Dall’insieme di questo processo si arriva al “disordine informativo”. Attenzione perché non è detto che gli agenti debbano essere per forza giornalisti, posssono infatti benissimo essere attori istituzionali o semplici cittadini motivati politicamente, economicamente o socialmente.

Quella dei giornalisti, in questo caso, è una lotta quotidiana per garantire la verità e l’affidabilità di una notizia. Ma cosa succede se anche il loro lavoro diventa più o meno inconsapevolmente parte di un disegno più ampio indirizzato editorialmente e politicamente? Chiariamoci, le notizie escono perché esiste una domanda sociale a richiederle, grazie ad esse si contribuisce al dibattito pubblico, ma si genera anche un ritorno economico oppure uno spostamento di voti e preferenze commerciali. Tutte finalità di cui tenere necessariamente conto. Un po’ di anni fa, Craig Silverman, oggi media editor di BuzzFeed News e fondatore di Emergent.info, aveva scritto che “le organizzazioni giornalistiche che mantengono standard più alti sui contenuti che pubblicano non siavventano sui contenuti virali e sulle storie appena nate, ma non fanno nemmeno uno sforzo per smontare o correggere le falsità o le notizie infondate”. Vero, il contrasto al caos informativo deve partire dal basso, da chi crea per primo i contenuti e da chi detiene ancora oggi il bottone dell’imprimatur.

Durante la Pandemia i governi e le sovrastrutture internazionali, come l’UE, hanno dovuto far fronte a rischi altissimi relativi alle informazioni fuorvianti. Rimedi dannosi per la salute umana, medicine miracolose assolutamente inefficaci, diminuzione della credibilità degli istituti nazionali di ricerca e medicina sono le prime conseguenze di una viralizzazione incontrollata di notizie false. Possiamo quindi ritenere alcune notizie disorientanti meno “pericolose di altre”, sempre seguendo lo schema di Wardle, in un riassunto visivo compilato in modo esaustivo da Valigia Blu:

https://www.valigiablu.it/disinformazione-fake-news-propaganda/

E l’Europa che fa? La Commissione Europea ha adoperato diversi strumenti per contrastare le fake news. La precedente legislatura Junker (2014/2019) aveva adottato un approccio multidimensionale e inclusivo, attraverso l’adozione del Piano di azione contro la disinformazione nel 2018, frutto del lavoro svolto dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (allora in carica Federica Mogherini), la Commissione Europea (coadiuvata dal gruppo di esperti HLEG on fake news) e l’agenzia per il Servizio Europeo per l’Azione Esterna. Il Piano prevedeva: un rafforzamento della trasparenza nelle piattaforme online; la promozione dell’alfabetizzazione mediatica da parte degli Stati membri; la creazione di strumenti di controllo che non ledano diritti e libertà civili; la responsabilizzazione dei soggetti quali utenti e operatori di settore; infine (ma non meno importante) la promozione della ricerca sul fenomeno. Con l’avvento dell’emergenza COVID-19, la regolazione europea mantiene una continuità con l’apparato preesistente, rafforzando la strumentazione di tipo collaborativo, caratterizzata da strumenti di soft law e un assetto di governance multistakeholder, dove i colossi digitali figurano come i principali alleati delle istituzioni europee.

Add a comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Prev Next

Iscriviti alla mia newsletter

Iscriviti alla mia newsletter per ricevere gli ultimi post direttamente nella tua casella di posta elettronica. Pura ispirazione, zero spam.
You agree to the Terms of Use and Privacy Policy