90 minuti grigio trasparenti

Papà mi compra dischi di band che non ascolta nessuno dei miei amici. Non mi chiede perché. Gli scrivo un nome su un foglietto. Come sempre bisogna aspettare almeno una settimana, tra gli ordini e le giacenze i tempi sono dilatati, per fortuna che ho ancora da ascoltare un bel po’ di roba che registro dalla tv, collegandola allo stereo. Si tratta di musicassette Sony da 90 minuti grigio trasparenti, belle e spigolose, con gli adesivi da attaccare e gli spazi troppo stretti tra le righe. Ieri ho registrato un concerto e qualche videoclip in formato audio. Ho la funzione anti fruscio, ma nelle orecchie il suono pulito è indistinguibile, plagiato dalle onde elettromagnetiche o dai segnali in fm. Frigge.

Alessia ha 27 anni ma ne dimostra quasi 10 in meno. Stesa sul suo letto profumato ha l’iPhone che inizia a suonare la traccia numero 3 del nuovo disco degli Algiers. Chiude gli occhi e ascolta con l’aria flemmatica una canzone bellissima. Le mani sono dai lineamenti gentili, impreziosite da bracciali di poco conto e da anelli che si chiudono sopra tatuaggi a forma di spirale. Sarebbe troppo complesso descrivere i movimenti dei palmi che battono il tempo, sarebbe come descrivere lo spostamento d’aria di una inquieta giornata di pioggia. La musica elettronica urbana degli Algiers è il più bel regalo di questo nuovo anno, non solo perché riesce a collocarsi in uno spazio del tutto inedito, ma — è proprio il caso di dirlo — perché raccoglie istinti soul e li amalgama con tessiture quasi industrial e più tipicamente alternative.

Ho incontrato Alessia più e più volte in un universo parallelo, dove le migrazioni avvengono nel tempo e anche nei momenti di silenzio tra le tracce dei dischi. Abbiamo cenato con poche cose e abbiamo girato per la città di notte, contando i bar ancora aperti e le feste di laurea finite male, in mal di testa ed invitati stesi ad un palmo dalle nostre scarpe. Lo dicono spesso che quando si festeggia, non bisogna mai mischiare troppe cose. C’è un momento in cui sono assente e non sento di dover far altro di ascoltare Kevin Morby, il suo perbenismo nella riproposizione dei clichè dei Velvet Underground è disarmante.

Ho davanti a me l’ultima pagina del primo libro che ho scritto e non posso far altro che constatare che è un disastro di aggettivi e avverbi messi a casaccio. Elena era tutti i sinonimi della parola amore di questo mondo. Quando la osservo non ho ancora imparato a fare un’equazione, ma mi sono già fratturato le gambe diverse volte e ho preso tutte le malattie esantematiche tranne una. Ogni tanto le telefono per i compiti. Non stiamo tanto a parlare. Dopo le pagine e i numeri degli esercizi lei appoggia la cornetta. Io no, resto appeso ancora per un po’ sperando che mi dica che staremo insieme per almeno 50 anni.

Chiara mi spiega che il liceo in cui studia ha una concezione molto seria della formazione in materie letterarie. Lei divora libri ed è appassionata di musica tradizionale irlandese, quella coi bohdran, colorata di verde, come i suoi occhi ma un pochino più opaco, come tutte le cose che non fanno parte degli esseri umani, ma della natura, del mondo, del cosmo o giù di lì. Io e lei ci scriviamo lunghe lettere in formato digitale e sappiamo usare benissimo le email e le internet relay chat. Parliamo attraverso il computer e talvolta ci lasciamo messaggi in segreteria. Per riascoltarli più volte nelle giornate invernali di fine gennaio. A volte le chiedo che vogliamo fare di noi ma lei cambia discorso. Abbiamo 18 anni, alle compilation con la musica più bella della nostra vita ci penseremo tra 20 anni, comunque prima dei 40 quando tutto diventerà più simile al fumetto di Art Spiegelman che si chiama Maus che ci ha fatto piangere da tanto è bello. In quei momenti sappiamo che la fede in qualcosa riesce a superare anche gli olocausti. Chiara pensa sia merito della musica irlandese. Io non ne sono tanto sicuro.

La stanza dell’ufficio di collocamento ha 20 posti a sedere. Noi siamo in 40 prima di poter entrare. Ascolto Ben Harper dal mio lettore cd portatile e batto il tempo su qualche canzone famosa. Giulia è bellissima ed ha un maglione con fantasie floreali. Di lì a un mese andremo per la prima volta al cinema assieme a vedere un film di Inarritu. 3 ore in cui sono riuscito a non addormentarmi tenendola per mano e giocando con le sue dita. Secondo qualche breve calcolo cabalistico avremo continuato a vederci per pochi altri mesi fino a prima delle vacanze estive. La nostra storia era più complicata della guerra dei Balcani dove le negligenze dell’ONU furono ad appannaggio delle amiche di lei e dove io mi sentii confuso come le religioni nelle città dai confini storici compromessi.

Dry Your Eyes. Asciugo le lacrime di Alessia e dico che la lascerò per sempre. Siamo fatti così. Siamo fatti per andare, per dimenticare, per ascoltare sempre nuovi dischi e baciare nuove Alessie in altri continenti, tenendoci al riparo da ulteriori guerre mediorientali finanziate dagli arabi e alimentate dagli europei. Comprendo che sia cattivo, ma la vita me lo ha insegnato, a non essere mai pronto davanti alla bellezza. E c’è qualcosa nei capelli di Alessia che è più morbido delle pubblicità con Chiara Ferragni, più silenzioso di Miranda Lee Richards, nel suo album del 2017. Per questo, in fondo, mi piace.

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