Bosko e Admira, vittime di Sarajevo

Bosko e Admira

Lui serbo, lei musulmana. Si chiamavano Bosko Brckic e Admira Ismic. Avevano 25 anni e si amavano fin dai tempi del liceo. Quella che doveva essere una fuga d’amore si è trasformata in una condanna a morte. “Hanno sparato nello stesso momento, ma lui è caduto all’istante e lei era ancora viva”, racconta un soldato che li ha visti cadere sul ponte di Vrbana.

Nel maggio del 1993, sotto l’assedio di Sarajevo, i due giovani tentarono di attraversare il fronte per raggiungere insieme la Serbia. Camminarono per 500 metri in pieno giorno, tra macerie e cavi elettrici penzolanti, fidandosi di un accordo tra le due fazioni in guerra. “Lei si è avvicinata e lo ha abbracciato, e sono morti così, l’uno nelle braccia dell’altra.” I loro corpi rimasero insepolti per giorni, sotto il sole e sotto gli occhi di tutti, ammuffiti tra i resti di altri morti abbandonati, in quella terra di nessuno dove neppure i morti hanno diritto alla pace

“Non mi interessa chi li ha uccisi. Voglio solo i loro corpi per poterli seppellire”, disse il padre di Admira due mesi dopo. “Non voglio che marciscano nella terra di nessuno.” Le autorità bosniache accusarono i serbi. I serbi accusarono i bosniaci. L’UNPROFOR, la forza ONU a Sarajevo, si limitò a dire che si trattava di una questione locale. “Tutti si stanno lavando le mani in questo caso, sia bosniaci che serbi”, continuava il padre. “Sono un meccanico. Conosco tanta gente in città. Ma nessuno si muove.”

A Bosko e Admira, un proiettile ha spezzato la fuga. E la politica ha lasciato i loro corpi a marcire, trasformando l’amore in simbolo della follia. “L’amore li ha portati alla morte”, ha detto il padre. “Questa non è una guerra tra serbi e musulmani. È una guerra tra pazzi. Tra mostri. Ecco perché i loro corpi sono ancora là fuori.”

Ci vollero otto giorni per recuperare i loro corpi sotto il sole di maggio, ci volle una tregua tra le parti in guerra per permettere di raccogliere pietosamente ciò che restava di loro. Ma si dovettero aspettare altri 3 anni per celebrare una sepoltura, musulmani e serbo bosniaci presenti, uniti forse solo dall’amore per i propri figli, in una terra che non aveva regalato nulla, né una via di fuga, né un riparo, solo spari e corpi esanimi stesi sotto il sole.


La storia

L’assedio della capitale della Bosnia, Sarajevo, è durato dal 1992 al 1996 ed è stato uno degli assedi più lunghi della storia moderna. Nel 1992, la Bosnia-Erzegovina multietnica ha dichiarato la propria indipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Questa dichiarazione, sostenuta dai musulmani e dai croati del Paese, non fu accettata dalla maggior parte della comunità serbo-bosniaca. Ciò portò a un’escalation di tensioni e poi alla guerra.

L’Esercito della Republika Srpska (l’esercito serbo-bosniaco), guidato dal generale Ratko Mladic, ha circondato Sarajevo, bombardando la città e sparando su obiettivi civili dalle sue postazioni intorno alla città. In tutta Sarajevo sono stati affissi cartelli con la scritta “Attenti ai cecchini!” (“Pazi Snajper”) per avvertire gli abitanti.

John F. Burns era inviato del New York Times nel 1992. Scrisse:

Un ufficiale britannico che sta completando un tour di tre mesi con la forza delle Nazioni Unite a Sarajevo ha ridacchiato alla vista dei giornalisti che preparavano la loro jeep con bandiere americane e britanniche. Il cecchino sta dormendo? “Sentite”, disse, “se ce la farete o meno dipende dal fatto che il cecchino in quella casa vicino alla strada si prenda la briga di alzare il fucile e sparare o meno, o che stia dormendo. Una cosa è certa: A queste persone non può importare di meno da dove venite o cosa fate. Se sei a tiro, sei un bersaglio”.

Burns e i colleghi riescono ad arrivare a Sarajevo. Parcheggiano l’auto nel garage sotterraneo dell’Holiday Inn, famoso per essere l’unico hotel ancora funzionante in città, rifugio di giornalisti sprezzanti del pericolo. La prima cosa che notano sono i buchi nelle carrozzerie delle altre auto in sosta, si chiedono come facciano ancora a muoversi o mettersi in moto.

Una delle strade principali di Sarajevo (Ulica Zmaja od Bosne), tormentata da bombardamenti e proiettili, ha preso il nome di “Sniper Alley” (vicolo dei cecchini): fino al 1995, i cecchini vi hanno ferito 1.030 persone e ucciso 225 cittadini. Per alcuni soldati serbi e mercenari stranieri, il cecchinaggio in Ulica Zmaja è diventato intrattenimento e “turismo militare”. Lo scrittore russo Eduard Limonov venne in Bosnia e il 22 giugno 1992 fu filmato mentre sparava con un fucile da cecchino sulla città circondata. Accanto a lui c’era il presidente della Repubblica Srpska, Radovan Karadžić.

In generale, secondo il Tribunale dell’Aia, nelle file dell’esercito serbo-bosniaco c’erano dai 529 ai 614 mercenari provenienti da Russia, Grecia e Romania. I russi parteciparono anche al bombardamento di Sarajevo. La Sniper Alley conduceva all’aeroporto, per cui i giornalisti stranieri che volevano raggiungere Sarajevo dovevano passare da lì. Il 23 luglio 1992, la cameraman della CNN Margaret Mott finì sotto il fuoco di un proiettile che la colpì al volto. Dopo sei mesi, tornò a Sarajevo e scherzò dicendo che era venuta a cercare i denti perduti. Il 13 agosto 1992, un cecchino uccise il produttore di ABC NewsDavid Kaplan.

Il tunnel

Dopo alcuni mesi fu possibile raggiungere Sarajevo non solo attraverso l’aeroporto. I serbi avevano isolato la città dagli altri territori bosniaci e all’inizio del 1993 la capitale era a corto di cibo e munizioni. Pertanto, il 1° marzo dello stesso anno, l’esercito bosniaco iniziò a costruire un tunnel dall’aeroporto ai territori liberi dai serbi. Il progetto fu sviluppato dall’ingegnere Nedžad Branković.

Il tunnel iniziò a essere scavato da due lati: da Sarajevo e da Butmir, dove erano di stanza le truppe bosniache. La sua lunghezza raggiungeva gli 840 metri, una sezione di 340 metri passava sotto la pista dell’aeroporto e aveva accesso al seminterrato di una casa privata, l’altra parte era una trincea coperta. Nel punto più basso, la profondità raggiungeva i 5 metri. Ogni giorno, 3-4 mila persone – militari e civili – e 30 tonnellate di merci – armi e rifornimenti – passavano attraverso questo tunnel. In seguito, vi furono posate linee elettriche e persino un piccolo oleodotto.

Le forze di pace delle Nazioni Unite, che dal 5 giugno 1992 controllavano la sicurezza dell’aeroporto di Sarajevo, contribuirono a proteggere il tunnel e lo usarono regolarmente quando si mossero per lasciare la zona d’assedio.


Durante l’assedio di Sarajevo morirono 5.434 civili: 3.855 bosniaci, 1.097 serbi e 482 croati.

Tra loro anche Bosko e Admira.

Add a comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Prev Next

Iscriviti alla mia newsletter

Iscriviti alla mia newsletter per ricevere gli ultimi post direttamente nella tua casella di posta elettronica. Pura ispirazione, zero spam.
You agree to the Terms of Use and Privacy Policy