Shamil Basayev, un uomo in sandali e kinzhal

Il caso del Daghestan rappresentò comunque la possibilità per il Cremlino di riaprire un confronto acceso con il governo ceceno, accusato di aver appoggiato gli uomini dell’ex vice-primo ministro per le scorribande in Daghestan. Maskhadov negò ogni coinvolgimento, propose di dare una stretta ai signori della guerra del suo paese, ma il governo russo non accettò il compromesso.

Boris Eltsin nel frattempo era al termine della propria esperienza come presidente della Federazione Russa. Piegato da una enorme responsabilità e da una spiccata propensione all’alcol era pronto a lasciare il posto a Vladimir Putin che promise da subito una profonda repressione del terrorismo interno: “Li prenderemo ovunque. Se troviamo dei terroristi nel cesso, allora li faremo fuori nel cesso. Non c’è altro da dire”. Alla fine di settembre scoppiò, senza troppo rumore, la seconda guerra cecena.

In this photo taken in Feb. 2000, Russian soldiers rest at Minutka square, in Grozny, Chechnya. Russia’s bombing of the Chechen capital took such a heavy toll on the city’s buildings that Russian troops struggled to find an intact office for their commandant. (AP Photo/Dmitry Belyakov)

Basayev rimase a difesa di Grozny durante l’assedio della città, minacciando la Russia di attacchi kamikaze che vennero interpretati come un bluff. Pochi mesi dopo, appena alle soglie del 2000, Shamil e i ribelli si ritirarono dalla capitale e il comandante stesso perse una gamba calpestando una mina ma riuscendo comunque a fuggire alla cattura, nascondendosi nuovamente in montagna. I legami dei ribelli islamici ceceni con l’ambiente jihadista orientale mosse molti combattenti stranieri a unirsi alla battaglia contro Mosca. Sembrava che Basayev, nonostante l’inferiorità numerica, la sua stessa condizione fisica e un non più maggioritario assenso alle sue azioni, non avesse alcuna paura di affrontare il leader del Cremlino, tanto da sfidarlo letteralmente a duello.

Nel 2002 Basayev affermò sul sito web dei ribelli ceceni di essere il responsabile dietro la crisi degli ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca. Cinquanta uomini e donne inviati da Shamil presero in ostaggio ottocento persone. I russi “sbagliarono” facendo irruzione nell’edificio usando il gas, uccisero i ribelli ma anche un centinaio di ostaggi. Da quel momento le esplosioni in Cecenia come in Russia si moltiplicarono, talvolta fu lo stesso Basayev a premere il pulsante del telecomando prima dello scoppio, e a rischiare la vita furono normali cittadini, russi, ceceni, Akhmad Kadyrov – capo dell’amministrazione cecena nominata da Mosca – poliziotti e militari. Gli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, rimasero molto sensibili al tema del terrorismo islamico, tanto che l’8 agosto 2003, il segretario di Stato Colin Powell definì Shamil Basayev una minaccia per la sicurezza e i cittadini statunitensi. Ciò intrinsecamente legittimò il pugno duro di Putin nella sua prima guerra da presidente, e con lo stesso Basayev che si dichiarava responsabile di attentati terroristici a Mosca e a Yessentuki, nel Krai di Stavropol ne era unitariamente appoggiato dal popolo e dall’opinione pubblica, sebbene dopo l’era di Eltsin, la libertà di stampa iniziò a essere piuttosto limitata e indirizzata verso il culto di quello che sarebbe diventato il nuovo “zar”.

Nel 2004 Akhmad Kadyrov morì in un attentato a Grozny, i responsabili furono ancora una volta i ribelli islamisti di Shamil. Morì il satrapo di Putin e con lui almeno sei persone, sessanta rimasero ferite tra cui il massimo comandante russo in Cecenia. Basayev definì quella del 9 maggio 2004 come una “piccola ma importante vittoria”. Fu qualche mese più tardi tuttavia che la comunità internazionale si rese conto della questione cecena e del terrorismo islamico, quando le trasmissioni tv di mezzo mondo trasmisero in diretta l’assedio alla scuola di Beslan in cui morirono 350 persone, soprattutto bambini, e ne rimasero ferite centinaia. Basayev si prese il merito di aver finanziato l’assedio alla scuola con soli 8mila euro scaricando però la colpa della “terribile tragedia” sull’intervento di Vladimir Putin e la sua gestione della crisi. La settimana precedente lo stesso gruppo islamista ceceno si era reso responsabile di un attacco alla metropolitana di Mosca e del dirottamento di due arei di linea. L’anno successivo, in un’intervista concessa al giornalista russo Andrei Babitsky ha dichiarato: “Ufficialmente, oltre 40.000 dei nostri bambini sono stati uccisi e decine di migliaia mutilati. Qualcuno dice qualcosa al riguardo? La responsabilità è dell’intera nazione russa, che con la sua silenziosa approvazione dà il suo sì”. Le sue parole furono trasmesse nella trasmissione Nightline della rete USA Abc, con le proteste del governo russo che, in contrapposizione, vietò ai giornalisti di quel network di lavorare in Russia.

Nel 2006 fu il figlio di Akhmad, Ramzan Kadyrov a prendere il posto del padre e ad iniziare una caccia spietata a Basayev che il 15 giugno dello stesso anno riaffermò senza troppi problemi la propria responsabilità nell’uccisione di Akhmad, sostenendo di aver pagato gli attentatori 50mila dollari a testa e di aver messo una taglia su Ramzan, 25mila dollari per la sua “minor importanza rispetto al padre”.
Poche settimane dopo si concluse l’esperienza di Shamil Basayev come uno dei più grandi terroristi e nemici della Russia di sempre. Venne ucciso a Malgobek’ in Inguscezia, una repubblica che confina con la Cecenia facente parte della Federazione Russa. Le cause hanno destato molte perplessità. C’è stata una forte esplosione, i poliziotti locali che sono stati tra i primi ad arrivare hanno detto che sulla scena sono stati trovati quattro cadaveri vestiti di nero, due dei quali relativamente illesi e gli altri due mutilati. Sono stati rinvenuti anche i rottami di un camion Kamaz e di due auto Zhiguli (o Lada).

Due dei morti sono stati identificati rapidamente dai loro documenti di identità come Tarhan Ganizhev e Isa Kushtov. L’identità degli altri due non era chiara, ma le indagini preliminari indicavano che sono stati uccisi quando l’esplosivo che uno di loro stava maneggiando è saltato in aria. Solo la mattina dopo è iniziata a circolare la voce che uno dei due cadaveri non identificati non fosse altro che il famoso militante ceceno Shamil Basayev, in fuga dalle autorità russe da più di 12 anni. Un funzionario del servizio di sicurezza FSB dell’Inguscezia ha dichiarato a IWPR che Basayev era stato identificato perché privo della parte inferiore della gamba, anche se la protesi dell’arto non era stata ritrovata. Poi, alle quattro del pomeriggio, il capo dell’FSB russo, Nikolai Patrushev, ha riferito al Presidente Vladimir Putin che “nel corso di un’operazione speciale in Inguscezia sono stati eliminati Shamil Basayev e tutta una serie di banditi”. Patrushev ha dichiarato che gli uomini stavano pianificando di compiere un attacco all’interno dell’Inguscezia e di “usare questo atto di terrorismo e sabotaggio per fare pressione sulla leadership russa in un momento in cui si sta preparando il vertice del G-8”.
Era davvero stata una tragica fatalità?

Dopo la conferma della morte del terrorista i media russi hanno iniziato a riportare una serie di notizie che suggerivano che Basayev fosse morto in un’operazione pianificata in anticipo dalle forze di sicurezza. Si è ipotizzato che il camion fosse stato sabotato dai o che l’esplosione fosse stata provocata da un razzo telecomandato.

Tuttavia l’incapacità di dare la caccia a Basayev è stata un imbarazzo di lunga data per la Russia, che si è assunta la responsabilità della cattiva gestione di un attacco terroristico dopo l’altro, compreso il sequestro della scuola di Beslan. I servizi segreti russi avevano informazioni affidabili sugli spostamenti di Basayev e misero persino una taglia di 10 milioni di dollari per chi fornisse informazioni utili alla sua eliminazione, ma non fu sufficiente.

A proteggere Basayev fu la sua popolarità tra la popolazione del Caucaso settentrionale, la sua aria di sfida alla dominazione russa fu centrale per trasformarlo da terrorista ad eroe, tanto che per evitare qualsiasi culto della personalità, i russi scelsero di seppellire in segreto il suo corpo e vennero vietati i funerali, così come per ogni uomo che viene considerato terrorista. A Grozny erano convinti che il ribelle che tanti anni prima si era posto a difesa della città tramasse con i servizi segreti russi.

La brutalità di Basayev, sin dai primi anni della sua storia criminale, ha contribuito a minare la causa cecena, consentendo a Putin di ritrarre la lotta come parte di un movimento terroristico islamico mondiale, lo stesso che, col tempo, si è trovata a dover affrontare l’America. Fu lo stesso presidente russo a dichiarare, appena dopo la morte del ribelle: “Questa è la meritata punizione contro i banditi per i nostri bambini a Beslan… per tutti gli atti di terrore che hanno commesso a Mosca e in altre regioni russe, comprese l’Inguscezia e la Cecenia”.

Pochi mesi prima Basayev dichiarò a Channel 4: “Siamo in guerra. I russi pagano le tasse per questa guerra, mandano i loro soldati in questa guerra, i loro preti spruzzano acqua santa sui soldati”. Era sicuro, in un modo o nell’altro di farla franca, ancora una volta. Ma si sbagliò.
Anche dopo la sua morte, la violenza e l’illegalità rimasero le caratteristiche dominanti della vita della Cecenia per molti anni a venire.

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