Ho acquistato una nuova edizione dell’Idiota di Dostoevskji. Oltre ad essere molto bella, l’ho posizionata in verticale frontalmente sulla libreria, così ogni volta che guardo verso lo scaffale con i capolavori russi sembra osservarmi bonariamente, dall’alto della sua eccelsa e imperitura classe reverenziale.
Ogni tanto mi sento in soggezione, Guerra e Pace, Puškin, Bulgakov, Tolstoj, Anna Karenina, Turgenev, tutti assieme, vicini, accanto alla letteratura di area post sovietica. Amerei pensare di non aver dovuto separarli, poi mi rendo conto che nessuno ci avrebbe raccontato degli zar, di Stalin e della glasnost se ci fosse stata solo quell’idea di Russia come unione di repubbliche socialiste sovietiche e poi federazione.
C’è stato un primo momento, dopo il 24 febbraio 2022, giorno in cui Putin ha invaso l’Ucraina, in cui – come di riflesso – l’opinione pubblica e culturale occidentale ha rifiutato di leggere e considerare ancora i capolavori russi come un patrimonio unico da conservare, studiare e tramandare.
A tale proposito Slavoj Zizek scriveva che:
..può capitare d’imbattersi in controproducenti richieste di boicottaggio della cultura russa, come se il regime di Putin rappresentasse in qualche modo personaggi del calibro di Puškin, Čajkovskij e Tolstoj. Così come stiamo sostenendo l’Ucraina contro un aggressore, dovremmo difendere la cultura russa da chi la maltratta al Cremlino.
Come si maltratta una cultura? (pensavo) Lo faceva Putin rendendo esecrabile la figura del suo paese, divenuto paria di fronte all’opinione pubblica occidentale, e soprattutto lo facevano – e ancora lo fanno – i circoli a lui vicini, quelli che materialmente costruiscono ponti tra una cultura di regime, autoritaria, sghemba e dedita alla vodka più che alla pena e quelle di stati stranieri. Lo facevano gli europei, vietando concerti, letture, rappresentazioni teatrali, generando nei sostenitori dell’ex kgb e oggi dittatore della federazione russa, una sorta di giustificazione nell’essere duri verso un vecchio continente che, nel nome dell’attuale progressismo, voleva chiudere Il maestro e margherita, le notti bianche e forse pure Rachmaninov in nome del “difendere l’Ucraina”.
Negli ultimi 3 anni mi sono chiesto molte volte come poter vincere contro l’invasione russa. E nel caso fosse possibile, a quale prezzo? Mandando nell’oblio ogni artista o letterato russo? Facendo radere al suolo a Putin ogni città per poi ricostruirla?
Oggi credo che il modo migliore per sostenere l’Ucraina sia quello di stare dalla sua parte e volere che sopravviva e riottenga la propria sovranità, la propria libertà di scegliere come affrontare il futuro. Per sopravvivere ogni giorno si riparte da capo, lo si fa da umani, lo si fa da rivoluzionari o politici, così come da soldati. Non credo che oggi, in un conflitto, si vinca solo eliminando un avversario, ma ancora meno penso che la diplomazia si possa esercitare nell’aggredire come bulli il capo di stato di un paese che da 11 anni si sta difendendo contro una delle nazioni più grandi e potenti al mondo. Senza trattative, senza prospettive, l’unica ipotesi è quella di un conflitto ancora più ampio.
È una vecchia canzone la morte, eppure è nuova per tutti.
diceva Ivan Sergeevič Turgenev, un russo.