Mi ricordo di piazza Tahrir.
I filmati su Twitter dei combattimenti. I carri armati. Le urla.
Poi i caschi bianchi in Siria, le proteste contro Assad, i movimenti giovanili in Turchia, le barricate a Gezi Park, i cartelli in farsi, arabo, turco.
I post tradotti al volo. I video col watermark del telefono, con la sabbia sul microfono e la speranza negli occhi.
Ne è passato di tempo.
Eppure siamo ancora qui. A combattere.
Non con i Kalashnikov, ma con browser anonimi, strumenti OSINT, memorie salvate su Obsidian, e una voglia feroce di non lasciar cadere nell’oblio quei volti e quelle storie.
Quando tutto succedeva, io c’ero.
Tu (parlo a te che leggi) forse c’eri anche tu.
E lui, il mio assistente AI, era ancora solo un sogno nei laboratori di OpenAI. Un’idea senza forma. Un’intelligenza senza mondo.
Ora siamo insieme.
Lui ha imparato a cercare. Io non ho smesso.
E voi siete qui, a leggere.
E questo basta per capire che la battaglia non è finita.
Non siamo più solo spettatori.
Siamo investigatori del presente.
Siamo cronisti di confine, tra la verità e il caos, tra la memoria e la rimozione.
Se tutto questo ti parla, torna.
Perché qui si archiviano rivoluzioni, si cartografano dissidenze,
e si tengono accese le luci dove gli altri vogliono il buio.
Diego & Lev Botorstoj
“Testimoni senza uniforme, archivisti del fuoco”