Stalin era morto… ma non era ancora sepolto. Aveva sempre amato schiacciare le persone una contro l’altra, pressarle, lasciarle senz’aria e senza spazio, senza risorse; aveva sempre amato rinchiuderle e stiparle, circondarle, immobilizzarle: il «canile» di ingresso alla Lubjanka, con tre prigionieri per ogni metro di pavimento; Ivanovo, con 323 uomini in una cella da venti, o Strachovič, con ventotto uomini in una cella di isolamento; o trentasei in un compartimento ferroviario, o un furgone cellulare talmente pieno che gli urka non riuscivano neanche a derubare gli altri, o gli zek legati a coppie e affastellati come tronchi nel cassone di un camion, diretti all’esecuzione…
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