Sono io stessa il cielo

Chiarimento a margine

Polvere

non sono

e polvere

non tornerò.

Non sono scesa

dal cielo

e in cielo non salirò.

Sono io stessa il cielo

come solaio di vetro.

Sono io stessa la terra

come fertile terreno.

Non sono fuggita

da nessuna parte

e non ci

tornerò.

Oltre a me stessa non conosco altra distanza.

Nel gonfio polmone del vento

e nella calcificazione delle rocce

devo

me stessa

qui

dispersa

ritrovare.

Camonghne Felix, in Un via vai di brumose apparenze, (trad. Alessandro Amenta) 2023

A chi gioverebbe?

Ratti
e meduse
sopravvivranno.

Scarafaggi e
capibara
sopravvivranno.

Zanzare, moscerini,
echidne dal morbido muso di
adolescenza post-apocalittica

sicuramente
sopravvivranno.

Noi – tumori maligni
d’origine infausta, contagi
concepiti da ominidi – invece no.

E comunque, a che e chi
gioverebbe se sopravvivessimo?

Un altro secolo spaventoso
è finito
in apatia vanagloriosa e
dolori esibiti, finito
nelle nostalgie argentate della guerra.

Tra alcune migliaia di anni, le stelle
saranno troppo distanti per vederle, lo spazio negativo
del cielo una nuova ecchimosi nella nostra progenie.

Tra alcune migliaia di anni, un figlio
del mio sangue alzerà lo sguardo
alla coppa della notte e bramerà un ricordo.

Gli esseri umani vivono
per trovare significato, per lasciare nitida traccia
di un Perché ineludibile, collettivo.

Immaginate, allora: un crepuscolo
non cosparso di stelle. Ci riuscite?
E comunque, a che e chi
gioverebbe il significato
allora?”

Camonghne Felix, in Freeman’s. Animali, 2023

Una ballata

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

Edoardo Sanguineti, “La ballata delle donne“,

Le ragazze

Le ragazze, quelle che camminano

con stivali di occhi neri

sui fiori del mio cuore.

Le ragazze, che abbassano le lance

sui laghi delle proprie ciglia.

Le ragazze che lavano le gambe

nel lago delle mie parole.

Velimir Chlébnikov

(Traduzione di Angelo Maria Ripellino)